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FORBIDDEN FOREST
TRAMA E DETTAGLI
Un cacciatore armato di arco e frecce ha il compito di esplorare la foresta per sconfiggere le creature malvagie che la abitano: ragni giganti, api, rane mutate, draghi, scheletri, maghi, serpenti, e un mostro finale noto come "Demogorgon.
STORIA
UN MUSICISTA TRA I PROGRAMMATORI
Pubblicato nel 1983 dalla piccola ma ambiziosa casa statunitense Cosmi Corporation, Forbidden Forest rappresenta uno dei primi titoli a distinguersi nel panorama ancora emergente dei giochi per Commodore 64 per l’atmosfera fortemente cinematografica e per l’inedita combinazione di orrore, azione e musica dinamica. Il gioco fu interamente sviluppato da Paul Norman, una figura piuttosto singolare nel mondo dei videogiochi dell’epoca, non solo per la sua capacità di scrivere codice, ma anche per la sua formazione musicale e la propensione a occuparsi di ogni aspetto del prodotto, dalla programmazione alla grafica, fino alla colonna sonora. Norman lavorava presso Cosmi in un contesto semi-indipendente, che gli permetteva di sviluppare i suoi progetti in modo relativamente libero, un aspetto fondamentale per comprendere l’unicità del titolo. Prima di Forbidden Forest, Norman aveva maturato una certa esperienza musicale che traspose direttamente nel codice del gioco, con risultati innovativi soprattutto sul fronte sonoro.
Una delle curiosità storiche più affascinanti riguardanti lo sviluppo del titolo è la scelta di inserire una sequenza d’introduzione in stile cinematografico, una vera rarità per i tempi, e che sarebbe diventata un marchio di fabbrica nei suoi successivi lavori. Forbidden Forest fu anche uno dei primissimi giochi per Commodore 64 a utilizzare la tecnica del "sprite multiplexing", che consentiva di visualizzare un numero maggiore di sprite contemporaneamente su schermo rispetto a quanto tecnicamente previsto dal chip VIC-II. Norman, in particolare, sfruttò questo escamotage per dare vita a creature gigantesche che occupano gran parte dell’inquadratura, come i ragni e i draghi, dimostrando una notevole padronanza delle risorse hardware limitate della macchina. Sebbene oggi questo genere di interventi venga dato per scontato, nel 1983 rappresentava una dimostrazione di ingegno e una forma di sperimentazione tecnica non comune.
La genesi del progetto fu ispirata anche da pellicole cinematografiche dell’epoca, in particolare da film come Clash of the Titans (1981), Jason and the Argonauts (1963) e altri prodotti fantasy-mitologici che ebbero una certa popolarità nei primi anni Ottanta. L’idea di un arciere solitario che affronta una serie di mostri in una foresta infestata era pensata per evocare un’atmosfera quasi da fiaba oscura, un concetto che ben si sposava con l’immaginario visivo e sonoro di cui Norman era appassionato. La sequenza finale del gioco, in cui si scopre la natura ciclica della maledizione del protagonista, chiude il cerchio con un taglio narrativo che si discosta dalle classiche “vittorie definitive” di altri giochi dell’epoca, offrendo invece una conclusione aperta e, per certi versi, inquietante.
Infine, va ricordato che il titolo conobbe una certa popolarità soprattutto nel mercato statunitense, ma ottenne anche buoni riscontri in Europa, complice l’espansione commerciale del Commodore 64 che, tra 1983 e 1984, stava vivendo una rapida diffusione. Questo successo rese possibile la pubblicazione di un seguito diretto, Beyond the Forbidden Forest, nel 1985, sempre a opera di Paul Norman, che riprese le medesime meccaniche espandendole con grafica migliorata e maggiore varietà. Ma fu il primo capitolo, realizzato con strumenti rudimentali e mezzi limitati, a porre le basi per un’idea di gioco d’azione immersivo e suggestivo, che avrebbe influenzato altri sviluppatori negli anni successivi.
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IL PRIMO NEMICO IN UN INCONTRO RAVVICINATO: UN ORRIBILE RAGNO GIGANTE
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GAMEPLAY
AMBIENTAZIONI DARK E TINTE ROSSO SANGUE
Forbidden Forest è un gioco di azione a scorrimento orizzontale con struttura a livelli progressivi, nel quale il giocatore impersona un arciere solitario che, armato di arco e frecce illimitate, si addentra in una foresta misteriosa popolata da creature mitologiche e mostri da incubo. L’obiettivo è sopravvivere a sette ondate di nemici, ciascuna rappresentata da un diverso tipo di creatura: serpenti, ragni giganti, api assassine, draghi volanti, scheletri, teste volanti e infine il Signore Oscuro. Ogni ondata introduce nemici sempre più aggressivi e imprevedibili, con comportamenti distinti e pattern d’attacco specifici, costringendo il giocatore a modificare costantemente le proprie strategie.
La meccanica principale si basa sull’utilizzo dell’arco, che può essere manovrato sia in altezza che in inclinazione, permettendo di regolare la traiettoria delle frecce. La precisione diventa quindi fondamentale, dal momento che molte creature richiedono un colpo diretto per essere eliminate, e la posizione del protagonista non è fissa: è possibile muoversi lungo un piano orizzontale con una certa libertà, anche se l’arena rimane contenuta. Nonostante la semplicità apparente, il gioco integra una fisica basilare nei movimenti delle frecce e delle creature, rendendo ogni scontro un piccolo esercizio di tempismo e coordinazione. Ad aumentare la difficoltà ci pensa anche il fatto che molte delle creature appaiono improvvisamente o da direzioni impreviste, sfruttando l’effetto sorpresa come parte integrante del gameplay.
Un elemento che va sottolineato è la gestione del ciclo giorno-notte, uno dei primi esempi documentati in un videogioco a 8 bit. In Forbidden Forest, il gioco ha inizio con la luce del giorno, ma con il procedere dei livelli l’illuminazione ambientale diminuisce progressivamente, fino a immergere la scena nella notte più cupa. Questo cambiamento, oltre a incrementare l’atmosfera, ha anche effetti pratici: alcune creature diventano più difficili da vedere e il giocatore deve adattarsi a condizioni visive mutate. Anche in questo caso, si tratta di un’espediente tecnico e narrativo assai precoce, reso possibile grazie a una gestione manuale della palette cromatica del Commodore 64.
Le collisioni, sebbene rudimentali, sono sufficientemente ben gestite da garantire un livello di sfida coerente. I nemici non hanno una barra di energia, così come il protagonista: ogni contatto fatale provoca la morte immediata. Dopo ogni sconfitta, il gioco riparte dallo stesso livello, ma con una breve animazione che mostra la resurrezione del protagonista, a suggerire l’esistenza di una maledizione ciclica. Questa scelta, che apparentemente semplifica la progressione, contribuisce invece a rinforzare l’elemento horror e la tensione psicologica, in quanto l’assenza di punteggi o vite limita il senso di “gioco a punti”, ponendo l’accento sull’esperienza narrativa e sulla sopravvivenza.
Il gioco non presenta una schermata di pausa né un sistema di salvataggio. Una volta avviata la partita, essa va completata in un’unica sessione, il che aumenta l’intensità dell’esperienza. Nonostante l’assenza di un tutorial o di indicazioni esplicite, la curva di apprendimento è ben bilanciata: i primi livelli sono affrontabili anche da un neofita, ma la difficoltà cresce rapidamente. Le sequenze finali del gioco, in particolare lo scontro con il Signore Oscuro, richiedono riflessi e precisione, nonché una comprensione profonda dei tempi di attacco e delle hitbox dei nemici.
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UNA BREVE SEQUENZA ANIMATA CHE RITRAE L'UCCISIONE DI UNA VECCHIETTA IN VESTAGLIA AZZURRA
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GRAFICA E SONORO
QUEL MINIMALISMO TERRORIZZANTE
Graficamente, Forbidden Forest rappresenta un esempio precoce ma significativo delle potenzialità grafiche del Commodore 64. A fronte di un impianto tecnico ancora primitivo rispetto agli standard che si sarebbero consolidati solo a partire dal 1984, il gioco mostra una serie di accorgimenti grafici che ne elevano l’atmosfera ben oltre quanto ci si potesse aspettare da un titolo del 1983. L’elemento più evidente è l’uso della parallasse simulata, ottenuta facendo scorrere separatamente gli sfondi e i primi piani, creando l’illusione della profondità. Questa tecnica, sebbene molto basilare, contribuisce a dare un senso di spazio alla foresta in cui si svolge l’azione, una caratteristica che colpisce soprattutto se si considera che il VIC-II del Commodore 64 non disponeva di supporto nativo per la parallasse.
Le creature che popolano la foresta sono disegnate con uno stile volutamente sproporzionato e caricaturale, ma estremamente efficaci nell’evocare l’atmosfera da incubo del gioco. I ragni giganti, ad esempio, occupano una buona porzione dello schermo e si muovono in modo inquietante, con una cadenza lenta e sinistra che li rende particolarmente minacciosi. Altrettanto ben riusciti sono gli scheletri animati, le vespe assassine e le rane giganti, tutte caratterizzate da un design distintivo che le rende immediatamente riconoscibili. La varietà cromatica non è particolarmente ampia, ma viene utilizzata con intelligenza: le tinte della foresta passano progressivamente dal verde al marrone, fino al nero della notte, riflettendo il ciclo temporale e contribuendo all’immersione.
Le animazioni, pur rudimentali, presentano una fluidità sorprendente per l’epoca. Paul Norman riuscì a creare effetti di movimento realistici attraverso una gestione sapiente dei frame di animazione, specialmente per quanto riguarda il protagonista. Il movimento dell’arciere, con la tensione dell’arco e lo scoccare delle frecce, è sorprendentemente naturale, con un’attenzione per il dettaglio che si nota anche nei brevi istanti in cui il personaggio si ferma e cambia direzione. Allo stesso modo, gli attacchi dei nemici sono accompagnati da movimenti ben scanditi, che anticipano l’azione e danno al giocatore un margine di reazione, evitando l’effetto “morte improvvisa” spesso presente nei videogiochi.
Sul versante sonoro, il contributo di Paul Norman è ancora più evidente. La colonna sonora di Forbidden Forest è interamente originale e sfrutta a pieno le potenzialità del chip SID del Commodore 64, uno dei più avanzati sistemi audio dell’epoca. Il gioco inizia con una sequenza introduttiva accompagnata da una melodia cupa e solenne, che crea immediatamente un’atmosfera di tensione. Ma è durante il gioco vero e proprio che emerge una delle scelte più innovative: la musica cambia dinamicamente in base agli eventi su schermo. Ogni nemico ha effetti sonori e basi musicali distinte, mentre il tema si adatta in modo malizioso e coinvolgente, un concetto rudimentale di “musica dinamica” che anticipa di anni l’evoluzione delle colonne sonore adattive nei videogiochi.
I suoni degli effetti speciali, come il fischio delle frecce o i versi delle creature, sono anch’essi gestiti con grande cura. Il SID viene utilizzato per generare rumori inquietanti, battiti d’ali e sibili, tutti campionati in tempo reale, senza l’uso di digitalizzazione. Questo contribuisce a rendere l’esperienza sensoriale particolarmente intensa, specialmente se si gioca con un impianto audio esterno o con cuffie. Va sottolineato che la scelta di mantenere in sottofondo una musica continua, elemento relativamente raro nei titoli del 1983, rappresenta un rischio tecnico non trascurabile, poiché occupava preziose risorse della CPU. Eppure Norman riuscì nell’intento senza compromettere in modo evidente le prestazioni del gioco.
Sostanzialmente Forbidden Forest rappresenta uno dei primi casi documentati su Commodore 64 in cui la grafica e il sonoro non sono semplici abbellimenti, ma elementi integrati nel gameplay e funzionali alla costruzione dell’atmosfera. L’effetto complessivo è quello di un gioco che, pur nella sua semplicità tecnica, riesce a evocare una tensione palpabile, fondendo elementi audiovisivi in un sistema coerente e d’impatto. Anche a distanza di molte decine di anni, l’aspetto estetico e sonoro di questo titolo continua a essere apprezzato da appassionati ed esperti di videogames, rappresentando un esempio tangibile di come si potesse ottenere molto con mezzi limitati, se guidati da una visione creativa chiara e coerente.
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IL VESPOIDE, UNO DEI NEMICI PIU' IMPREVEDIBILI E COMPLICATI DA COLPIRE
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LONGEVITA' E RIGIOCABILITA'
FINO ALL'ULTIMA FRECCIA
Parlando di longevità, Forbidden Forest non si presta a valutazioni semplicistiche. Chi si approccia al titolo aspettandosi una rigiocabilità tradizionale, basata su livelli multipli o modalità alternative, potrebbe rimanere deluso: il gioco offre una sola campagna lineare, suddivisa in sette scontri progressivi, senza varianti o modalità di difficoltà regolabili. Tuttavia, se analizzato nel contesto del 1983 e soprattutto considerando l’intento dichiaratamente esperienziale dell’autore, il gioco dimostra di avere una sua forma di longevità non convenzionale, basata sulla tensione narrativa e sulla sfida psicologica più che sulla quantità di contenuti.
La curva di difficoltà è ben costruita, con un crescendo di tensione che accompagna l’avanzare della notte e l’apparizione di creature sempre più aggressive. Questa progressione, unita all’impossibilità di salvare, rende ogni partita un’esperienza intensa, con un senso di pressione costante che impedisce di affrontare il gioco con leggerezza. Superare le varie sfide richiede tempo, ma soprattutto capacità di memorizzazione e riflessi. Non si tratta di un’esperienza pensata per durare settimane, come avverrà con molti giochi a partire dal 1985, ma piuttosto di un “rituale” da ripetere, in cui il fascino sta nella tensione dell’imprevisto e nel superamento di sé stessi. È un concetto quasi arcade, ma privato del sistema a punti, il che lo rende atipico ma affascinante.
In termini di rigiocabilità, l’assenza di elementi randomici limita le sorprese nelle partite successive. I pattern dei nemici, una volta compresi, diventano prevedibili, e chi ha buona memoria visiva potrà portare a termine il gioco in tempi relativamente brevi dopo averlo imparato. Tuttavia, proprio l’aspetto viscerale della sfida – il tempismo necessario, la gestione dell’ansia, la precisione nei tiri – rende l’esperienza stimolante anche dopo più partite. Non è raro che i giocatori più appassionati si impongano sfide personali, come completare il gioco senza mai essere colpiti o nel minor tempo possibile, forme primitive di “speedrun” ante litteram che ne estendono l’interesse nel tempo.
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LA NOTTE INCOMBE SU DI NOI, TETRA E LATRICE DI MORTE
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Il fatto che il gioco non presenti una modalità a due giocatori né opzioni di personalizzazione riduce inevitabilmente la longevità nel senso più classico del termine. Tuttavia, Forbidden Forest riesce a compensare questi limiti con la forza della sua atmosfera e con l’unicità del suo tono. In un’epoca in cui la maggior parte dei titoli si basava su astratti concetti arcade o su trasposizioni sportive, l’idea di un’avventura oscura e solitaria, supportata da una narrazione implicita ma percepibile, fu un elemento distintivo e ancora oggi rappresenta una ragione valida per tornare a esplorare la foresta proibita.
Va infine riconosciuto che il gioco è sopravvissuto bene al passare del tempo, al punto che è ancora ricordato frequentemente da appassionati di retrogames, e rimane uno dei titoli più citati nei forum e nelle community dedicate al retrogaming. Il seguito pubblicato nel 1985 cercò di ampliare le possibilità introdotte dal primo capitolo, ma non ebbe lo stesso impatto. Questo testimonia come il valore di Forbidden Forest risieda proprio nella sua compattezza, nella coerenza della sua visione autoriale e nella capacità di evocare emozioni forti con pochissimi elementi. In definitiva, un gioco che non si misura con la quantità, ma con l’intensità.
• Innovativa atmosfera cinematografica
• Ampia varietà di nemici e comportamenti distinti
• Progressione della difficoltà ben strutturata
• Collisioni e precisione dei controlli discutibili
• Grafica funzionale ma tecnicamente limitata
VOTO FINALE
8
FORBIDDEN FOREST: LONGPLAY
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