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BRUCE LEE
TRAMA E DETTAGLI
Bruce Lee, leggendario maestro di arti marziali, deve infiltrarsi nel palazzo di un malvagio stregone per riuscire a sconfiggerlo e carpire cosi' il segreto dell'immortalità.
STORIA
DALLA CINA CON FURORE
Il videogioco Bruce Lee per Commodore 64 fu sviluppato dalla piccola ma prolifica software house Datasoft Inc. e pubblicato nel 1984. La programmazione fu affidata a Ron J. Fortier, con la grafica curata da Kelly Day e il design generale attribuito a Kelly Day e Ron Fortier insieme. All’epoca, Datasoft era un’azienda in rapida ascesa, specializzata in conversioni e titoli originali per home computer americani, in particolare per le piattaforme Atari 8-bit e Apple II, ma in grado di realizzare conversioni di ottima qualità anche per Commodore 64. Bruce Lee nacque inizialmente per i sistemi Atari 8-bit, ma il successo fu tale da spingere l’azienda a realizzare conversioni per numerose altre piattaforme domestiche, tra cui C64, ZX Spectrum, MSX, Apple II e IBM PC.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il gioco non è legato a una licenza cinematografica specifica. Non esiste un collegamento ufficiale con film come L’ultimo combattimento di Chen o I 3 dell’Operazione Drago, nonostante l’evidente ispirazione estetica. Il nome “Bruce Lee” fu utilizzato come omaggio alla figura del famoso artista marziale, approfittando del fatto che, all’epoca, la tutela del diritto d’immagine nei videogiochi era molto meno stringente rispetto agli standard odierni. L’operazione non generò controversie legali degne di nota, e anzi contribuì a far circolare ulteriormente la popolarità del personaggio tra le nuove generazioni di videogiocatori.
Il titolo si distingueva per la sua natura ibrida: un action platform che incorporava anche elementi di picchiaduro, pur mantenendo una struttura lineare e fortemente orientata all'esplorazione. Lo sviluppo del gioco fu portato avanti in tempi piuttosto ristretti, seguendo una filosofia produttiva comune a molti studi indipendenti degli anni Ottanta: team molto ridotti, scadenze serrate, e una forte enfasi sulla giocabilità più che sulla complessità tecnica. Un fatto curioso riguarda proprio la scelta del secondo personaggio controllabile nel gioco, lo Yamo, il lottatore sumo che diventa alleato nel multiplayer cooperativo: il suo design non fu ispirato a un personaggio preciso, ma nacque dall’idea di offrire un’alternativa fisica e buffa rispetto all’agilità di Bruce, contribuendo a una dinamica di coppia simile a quella comico-avventurosa dei film d’azione dell’epoca.
Infine, è degno di nota il fatto che, nonostante la sua semplicità apparente, Bruce Lee sia stato uno dei titoli più longevi e celebrati della libreria Datasoft, tanto da conoscere numerosi remake e versioni non ufficiali anche decenni dopo la sua uscita, segno che il lavoro svolto dal team nel 1984 era tutt’altro che banale. La versione Commodore 64, in particolare, è ritenuta da molti appassionati una delle più riuscite, grazie al sapiente uso del colore, della fluidità di movimento e della risposta ai comandi. Nonostante le risorse limitate, il team riuscì a confezionare un prodotto solido e ben calibrato, che ancora oggi rappresenta uno dei migliori esempi di come con mezzi contenuti si possa ottenere un risultato memorabile.
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UNA SCAZZOTTATA NEL PRIMO LIVELLO ...
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GAMEPLAY
COMBATTIMENTI CON TRIPPONI E NINJA
Il gameplay di Bruce Lee per Commodore 64 si articola attorno a un’azione prevalentemente platform, con sezioni a scorrimento singolo in cui il protagonista deve raccogliere lanterne sparse per ogni schermata al fine di progredire nell’esplorazione di un vasto tempio sotterraneo. L’obiettivo finale è raggiungere la camera del tesoro del malvagio stregone, il quale costituisce il boss finale del gioco. Il gioco non presenta un sistema di livelli suddivisi in fasi distinte, ma un’unica grande struttura interconnessa che il giocatore esplora progressivamente, sbloccando aree nuove man mano che attiva meccanismi nascosti o raccoglie tutti gli oggetti richiesti in una data zona. Questa struttura aperta per l’epoca rappresentava una soluzione piuttosto originale, capace di tenere alta l’attenzione del giocatore grazie al senso di avanzamento continuo e alla varietà di ambientazioni attraversate.
A differenza di molti titoli platform coevi, Bruce Lee introduce anche dinamiche da picchiaduro: durante l’esplorazione, il protagonista è costantemente inseguito da due nemici controllati dalla CPU — un ninja armato e lo Yamo — che tentano in ogni momento di ostacolarlo. Sebbene le mosse disponibili siano ridotte (calcio frontale, pugno e salto), i combattimenti aggiungono un ulteriore livello di tensione e coinvolgimento. I nemici, una volta sconfitti, tornano rapidamente in gioco, costringendo il giocatore a una continua alternanza tra fase offensiva e fuga. Tale scelta stilistica anticipa in un certo senso meccaniche che diventeranno comuni nei metroidvania e nei platform a scorrimento non lineare dei decenni successivi, pur in forma rudimentale.
Un aspetto particolarmente degno di nota è la modalità cooperativa a due giocatori, che permette al secondo partecipante di controllare lo Yamo — lo stesso personaggio che nella modalità a giocatore singolo agisce come nemico. In questo caso, il ninja rimane l’unico avversario, e l’azione si arricchisce di nuove possibilità: i due giocatori possono decidere se affrontare il gioco in maniera collaborativa o sabotarsi a vicenda, generando dinamiche emergenti che, per un titolo del 1984, erano notevolmente avanzate. In particolare, la modalità cooperativa rese il gioco estremamente popolare tra fratelli e amici, diventando uno dei primi esempi di videogioco da “divano” capace di offrire divertimento sia collaborativo che competitivo.
La varietà delle ambientazioni è supportata da una serie di meccanismi ambientali che aggiungono ulteriore varietà al gameplay: trappole elettriche, piattaforme mobili, spuntoni, ascensori e muri segreti rendono ogni sezione unica, costringendo il giocatore a osservare attentamente lo schema prima di muoversi. Anche se non vi è un reale elemento di puzzle nel senso moderno del termine, la sequenza con cui si raccolgono le lanterne e si sbloccano nuove aree implica comunque una logica che va oltre la semplice abilità nei salti. Il livello di difficoltà, inoltre, è ben bilanciato: i checkpoint impliciti e la vita supplementare offrono una certa tolleranza agli errori, rendendo il gioco accessibile ma comunque impegnativo.
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.. E UNA IN UN TUNNEL CONDITO DI TRAPPOLE
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GRAFICA E SONORO
UN SILENZIOSO SUCCESSO
Dal punto di vista tecnico, Bruce Lee per Commodore 64 si posiziona in una fascia qualitativa medio-alta, soprattutto considerando l’anno di uscita. La grafica, pur minimalista, è chiara, leggibile e funzionale al gameplay. Gli sprite dei personaggi sono piccoli ma ben animati, con una resa stilizzata che riesce a comunicare in modo efficace le differenze tra i protagonisti: Bruce è agile e rapido, Yamo è tozzo e lento, il ninja è più aggressivo e spigoloso. Nonostante i limiti cromatici del C64 in modalità multicolor (con la consueta risoluzione ridotta a 160x200), gli sviluppatori riuscirono a sfruttare bene la palette per conferire varietà alle ambientazioni, che spaziano da giardini esterni a labirinti sotterranei, passando per sale con colonne, aree con cascate e passaggi meccanici.
Le schermate sono composte da blocchi grafici semplici ma ben disposti, con l’uso di pattern ripetuti che creano una struttura architettonica credibile e coerente. Le transizioni tra le schermate avvengono senza rallentamenti o caricamenti, rendendo l’azione fluida e ininterrotta. È da notare come, nonostante la presenza di nemici su schermo e di elementi mobili, il motore grafico mantenga un frame rate stabile, garantendo una risposta ai comandi rapida e precisa, aspetto cruciale per un gioco che richiede riflessi e coordinazione.
Per quanto riguarda il comparto audio, il gioco si affida a un accompagnamento musicale minimale, limitato a un breve jingle introduttivo e a effetti sonori essenziali durante l’azione. Questa scelta è coerente con molte produzioni dell’epoca, dove le risorse di memoria venivano allocate principalmente alla grafica e al gameplay piuttosto che alla musica. Gli effetti sonori, seppur spartani, sono funzionali e distintivi: il colpo inferto, il salto, l’atterraggio, la trappola che si attiva, ognuno è contraddistinto da un suono unico, contribuendo a creare un feedback sonoro chiaro. La mancanza di musica durante il gioco non penalizza l’esperienza complessiva, anzi: contribuisce a creare un’atmosfera più concentrata e tesa, coerente con l’ambientazione sotterranea del tempio.
Un merito particolare va dato alla coerenza visiva dell’intero progetto: nonostante l’apparente semplicità tecnica, nulla è fuori posto. La palette è ben bilanciata, l’animazione dei personaggi è fluida, e gli elementi visivi comunicano chiaramente la loro funzione ludica. In un periodo in cui molti titoli presentavano una grafica caotica o incoerente, Bruce Lee dimostra una notevole cura nella progettazione visiva, confermando la competenza del team di sviluppo nel lavorare con vincoli tecnici stringenti.
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LO YAMO, IN VERDE, NEL SUO TRIPPOSO TENTATIVO DI COLPIRCI CON UN CALCIO VOLANTE
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LONGEVITA' E RIGIOCABILITA'
LA LUNGA STRADA VERSO LA CINTURA NERA
La longevità di Bruce Lee, se considerata in termini assoluti, potrebbe sembrare limitata: un giocatore esperto è in grado di completare l’intero gioco in circa 15-20 minuti. Tuttavia, questa apparente brevità è ampiamente compensata dalla qualità dell’esperienza offerta e dalla sua alta rigiocabilità. Il gioco non prevede livelli di difficoltà selezionabili, ma la presenza costante di nemici, la necessità di apprendere il layout del tempio e la precisione richiesta nei movimenti rendono ogni partita una sfida valida, soprattutto nelle prime sessioni. Inoltre, non va sottovalutato il fattore “memorization game”: molti giocatori all’epoca ripetevano le sessioni più volte per apprendere il comportamento dei nemici e la disposizione delle trappole, trasformando il completamento del gioco in una sorta di rituale da perfezionare.
L’aspetto cooperativo contribuisce significativamente alla rigiocabilità. La possibilità di affrontare il gioco in due, con un amico che controlla Yamo, cambia radicalmente il ritmo e la dinamica dell’azione. A seconda dell’intesa tra i due giocatori, la partita può diventare un esperimento di coordinazione oppure un’arena per dispetti e caos, dando luogo a una varietà di situazioni imprevedibili che aumentano il divertimento nel lungo periodo. Questa modalità fu una delle ragioni principali per cui Bruce Lee rimase popolare per anni nei cataloghi pirata e nelle raccolte personali degli utenti, molto oltre la sua finestra di rilascio originaria.
Il gioco, inoltre, si presta bene alla “partita veloce”, qualità non secondaria per un titolo degli anni ’80. L’assenza di un sistema di salvataggio è bilanciata da una curva di apprendimento rapida e da una struttura che permette di affrontare il titolo più volte nel corso di una singola sessione di gioco, anche solo per migliorare il proprio tempo di completamento o sperimentare nuove strategie. Non è un caso che ancora oggi, in contesti di retro speedrun o community dedicate al retrogaming, Bruce Lee continui a essere apprezzato proprio per la sua accessibilità e profondità nascosta.
In sintesi, Bruce Lee è uno di quei rari titoli per Commodore 64 che, pur essendo breve, riesce a offrire un’esperienza densa e strutturata, con un gameplay raffinato, una buona varietà ambientale e un bilanciamento quasi impeccabile. Non sorprende che venga ancora ricordato con affetto e che abbia ispirato remake, conversioni amatoriali e tributi di vario tipo. Un titolo che, pur non apparendo tra i colossi tecnici della macchina Commodore, ha saputo imporsi grazie alla cura dei dettagli e a un’idea semplice ma ben eseguita.
• Gameplay innovativo e fluido per l’epoca
• Co-op asimmetrica davvero originale
• Design intelligente e struttura sfidante
• Assenza di una vera componente narrativa
• Mancanza di varietà nei nemici e nelle meccaniche di combattimento
VOTO FINALE
6.5
AZTEC CHALLANGE: LONGPLAY
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